Non si fa!
Quante volte pronunciamo questa frase, quasi in automatico. Una reazione istintiva che ci sfugge di bocca mentre parliamo ai bambini quando vogliamo bloccare o correggere un comportamento inadeguato.
La nostra intenzione, in qualità di genitori, è certamente valida. Eppure, non sempre riusciamo ad ottenere l’effetto desiderato. E anche quando funziona, non ha una lunga durata.
Ma perché se gli abbiamo detto di non farlo, lo fanno di nuovo?
Molto dipende dal modo in cui parliamo ai nostri figli.
La nostra comunicazione, nella maggior parte dei casi, è frutto di schemi che abbiamo ereditato, copiato e interiorizzato. Acquisire consapevolezza di quanto quello che diciamo e come lo diciamo influisce sui loro comportamenti (e anche sulla costruzione della loro personalità) è il primo passo per ottenere dei risultati, laddove ne avvertiamo la necessità. La scelta delle parole e il tono utilizzato hanno un ruolo decisivo.
Dire “Non si fa”, in effetti, non porta lontano perché si tratta di un tentativo di inibire un qualcosa, senza aggiungere alcuna motivazione.
In mancanza di questi due preziosi elementi, il bambino può fermarsi, ma solo temporaneamente. In seguito, non capendo quale sia il lato “inadeguato” del suo comportamento e, soprattutto, non riuscendo individuarne la ragione, non potrà fare altro che assecondare la sua naturale curiosità e il suo spirito esplorativo, facendo un ulteriore tentativo. A questo punto la nostra reazione sarà quella di ripetere “Non si fa”, magari alzando la voce o aggiungendo qualche minaccia sulle eventuali conseguenze, tipo “ti fai male”, “allora ce ne andiamo a casa”, “stasera niente cartoni”.
Anche qui, l’aggiunta delle minacce non dice nulla su quale aspetto di quel comportamento vada migliorato e perché. Il bambino potrà interrompere il comportamento in corso per paura delle conseguenze, oppure scegliere temerariamente di procedere, facendo salire il nostro grado di irritazione alle stelle.
Quello che manca, in questo genere di interazioni adulto-bambino, è l’aspetto costruttivo della comunicazione. Siamo così focalizzati sul dire cosa “non si fa”, da dimenticare di suggerire cosa invece “si fa”.
I bambini non fanno altro che essere bambini: vogliono conoscere, provare, esplorare la realtà di cui fanno esperienza per la prima volta. Noi genitori possiamo accompagnarli e sostenerli in questa magica avventura, intervenendo per indirizzarli quando necessario. Il nostro intervento deve tenere conto del loro desiderio di scoperta e spostarsi dalla semplice inibizione ad una costruttiva indicazione sulle possibili alternative. L’obiettivo comune è continuare a fare quello che stanno facendo ma in modo più adeguato, meno pericoloso o semplicemente più rispettoso di chi gli sta intorno.
Nel fornire ai nostri figli un suggerimento di questo tipo otterremo l’effetto di arrestare il comportamento inopportuno, mettendoli nelle condizioni di fare quello che a nostro avviso è più adatto in quelle circostanze. Come dicevamo, la scelta delle parole è importantissima. Per cui, il suggerimento va formulato in positivo, usando frasi affermative e brevi che descrivano chiaramente come fare esattamente quello che stanno facendo, ma nel modo “giusto”. Anche il tono e l’atteggiamento sono cruciali. Il famoso “Non si fa” porta con sé un tono perentorio e giudicante che i bambini recepiscono come un rimprovero, un’accusa.
Nel dare un’indicazione sul comportamento sostitutivo, invece, punteremo ad assumere un tono calmo e fermo che comunichi che abbiamo compreso la loro intenzione esplorativa e che esiste un modo più adatto per farlo. Un atteggiamento di questo tipo crea vicinanza e complicità, rendendo i bambini anche più inclini all’ascolto. Il nostro suggerimento risulterà ai loro occhi come un consiglio per riuscire al meglio nell’impresa, di cui noi genitori diventeremo supporter, non più inibitori.
Questo cambiamento di prospettiva, genererà un clima di fiducia tale da renderci le cose gradualmente più semplici.
Una volta ottenuta l’attenzione del bambino e una volta fornita l’indicazione del momento, possiamo sostenerlo nell’esecuzione, complimentandoci per la buona riuscita. Il nostro entusiasmo e la nostra complicità trasformeranno la correzione in un momento di gratificazione reciproca.
Anche qui, bisognerà scegliere bene le parole. Dire “Bravo” in modo generico, è di certo una nota positiva ma manca della specificità necessaria per fare di questo commento quello che la psicologia comportamentale definisce un “rinforzo”. Il complimento, infatti, va associato all’azione specifica, spiegandone brevemente l’utilità. Non serve perdersi in dissertazioni filosofiche. Con parole semplici, è possibile dire chiaramente cosa ci è piaciuto è perché.
Il tutto si può chiudere con un momento di contatto fisico (un abbraccio o un “Batti-cinque”) che sigillerà la ricchezza emotiva di quel momento di crescita condivisa.
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